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La medicina delle prove di efficacia. Potenzialità e limiti della Evidence-based Medicine

A. Liberati
Il Pensiero Scientifico Editore
Edizione speciale realizzata in collaborazione con Janssen-Cilag SpA

Per aiutare il medico e gli operatori sanitari a distinguere tra vere e false novità in medicina si è sviluppato - a partire dalla Cochrane Collaboration - un movimento di opinione che ha inteso richiamare l'attenzione sulla Evidence-based Medicine.

La medicina delle prove di efficacia (MePE) persegue l'obiettivo di una ottimale risposta alle esigenze del malato.

In sostanza, la MePE si fonda su cinque elementi tra loro collegati:

  • ogni decisione clinica deve essere basata sulle più limpide evidenze scientifiche disponibili;
  • il problema clinico - deve determinare il tipo di evidenza da ricercare;
  • il ricercare l'evidenza vuol dire porsi in una prospettiva metodologica che non può prescindere dall'uso di strumenti statistici ed epidemiologici;
  • identificare e far propria criticamente una prova di efficacia in medicina è un processo che - lungi dal rimanere astratto – non può non riverberarsi concretamente nella pratica clinica quotidiana;
  • infine, la pratica medica deve essere costantemente ed attentamente valutata.

Letto da:

Paolo Vineis
Unità di Epidemiologia Oncologica dell'Ospedale S.Giovanni di Torino

Antonino Cartabellotta
Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze - GIMBE®

Paolo Vineis

Quando cerco di spiegare a non medici che esiste un movimento internazionale denominato "evidence-based medicine" - o medicina basata sulle prove di efficacia : MEPE - la reazione è in genere di incredulità : "ma come, è ovvio che la medicina è basata su prove di efficacia".

Al contrario, quando lo stesso fenomeno viene spiegato a medici, molti di loro reagiscono con un certo fastidio, sostenendo che un conto sono le ricerche condotte in circostanze semplificate e protette, un conto l'esperienza personale accumulata in anni di rapporti con i pazienti.

Come il libro curato da Liberati - in modo molto equilibrato - ci mostra, sarebbe un errore sottovalutare o deridere entrambi gli atteggiamenti. Sarebbe un errore ignorare il grado di attesa verso la scientificità della medicina creato dai mezzi di comunicazione di massa, e la mancanza di percezione, da parte del pubblico, di quanto vaste siano invece le zone d'ombra nella pratica medica (vi è un ampio dissenso perfino sulla proporzione delle pratiche mediche non sorrette da prove scientifiche). D'altro lato, i medici hanno in parte ragione nel dubitare che lo "standard aureo" della ricerca medica (lo studio controllato e randomizzato) sia una condizione necessaria e sufficiente per una buona medicina (posizione, per inciso, che non è propria dell'"evidence-based inedicine"), È chiaro che molta della

psicoterapia non può essere sottoposta a trials clinici randomizzati, cosi come parte delle tecniche chirurgiche. Inoltre la medicina ha una componente "ermeneutica" (di comprensione del mondo di vita del paziente) senza la quale essa diventa una fredda applicazione di tecnologie.

Sulla base di queste premesse, si potrebbe pensare dunque a un generico "in medio stat virtus": in fondo i risultati dei buoni trials prima o poi vengono assunti nella pratica, e hanno ragione i bravi medici a sottolineare la componente di "arte" – o meglio di relazionalità - che vi è nella medicina (se mi è concesso rendere un omaggio, penso ad Adriano Vitelli come esempio vivente di capacità relazionale e rigore scientifico).

Invece non è affatto cosi. Come il libro di Liberati chiaramente dimostra, risultati anche clamorosi di buone sperimentazioni cliniche richiedono anni prima di trasferirsi nella pratica (e infatti una delle maggiori preoccupazioni attuali della MEPE è proprio il trasferimento della ricerca nella pratica). In secondo luogo, 1'"arte medica" invocata da chi resiste alla MEPE spesso non è altro che la copertura di privilegi e di colpevoli arretratezze. Ma gli innovatori a tutti i costi, quelli che leggono avidamente Lancet e il New England, d'altra parte, sono altrettanto e forse più pericolosi dei conservatori: sia perché la variabilità nei risultati delle sperimentazioni cliniche è tale da consigliare prudenza, sia perché - di nuovo - il trasferimento nella pratica non è immediato e una ricerca valida negli USA può non dare gli stessi frutti in Africa.

Quelle che precedono sono dunque alcune delle ragioni che stanno alla base della MEPE: la necessità di sintetizzare in modo rigoroso i risultati della migliore ricerca; la necessità di identificare il miglior livello qualitativo delle prove date le circostanze (considerando cioé che non sempre si possono condurre trials randomizzati); la necessità di adottare specifiche tecnologie per il trasferimento nella pratica, non illudendosi che basti sintetizzare le prove scientifiche; la necessità di combinare con perizia gli elementi scientifici con quelli extrascientifici nell'elaborazione di linee-guida per la pratica clinica.

I diversi saggi che compongono il volume ripercorrono tutti gli argomenti cui ho accennato, e non sono mai né banali né semplicisti.

Emergono certamente gli aspetti ancora immaturi, o le lacune e le incertezze.

Per esempio, il saggio di Roberto Grilli sulle linee-guida come politiche assistenziali condivise è uno dei più stimolanti e innovativi ma lascia anche la sensazione che molto ci sia da fare sull'argomento dell'integrazione tra prove scientifiche, valori condivisi e scelte politiche. Un altro saggio molto suggestivo è quello di Pagliaro e colleghi, che con grande perizia lega la MEPE alla logica del ragionamento clinico, anche se lascia un po' perplessi una certa confusione tra MEPE e ricerca bibliografica informatizzata: non solo dovrebbe essere chiaro che non si tratta della stessa cosa, ma un punto ancora debole della MEPE è proprio la capacità di creare solidi criteri per valutare qualitativamente e sintetizzare le informazioni bibliografiche. Infine, un saggio estremamente innovativo, a mio avviso, è quello di Favaretti e colleghi su come la MEPE può esser d'ausilio agli amministratori diventando "ASAPE" : assistenza sanitaria basata su prove di efficacia. Questo saggio dovrebbe essere diffuso capillarmente nelle Direzioni Generali e Sanitarie degli ospedali perché chiarisce in un modo direi definitivo molti degli equivoci dell'aziendalizzazione.

Antonino Cartabellotta

Rispetto la scelta degli autori del volume: La medicina delle prove di efficacia:

potenzialità e limiti della "evidence-based medicine" a cura di Alessandro Liberati et al. Pagine 204, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 1997, Lire 38.000, ISBN 88-7002-740-6, di tradurre "Evidence-based Medicine" in "Medicina delle prove di efficacia", ma credo che medicina basata sulle evidenze sia una traduzione ugualmente corretta.

Infatti, se è necessario pluralizzare evidence perché l'evidenza è ovvia e indiscutibile, nella nostra lingua evidenze è sinonimo di prove.

Tuttavia, considerato che EBM è ormai una sigla riconosciuta — come lo stesso autore della prefazione ha già avuto modo di precisare1 — era proprio necessario creare acronimi poco felici come MePE e ASaPE?

Considerata l'impossibilità di giudicare in maniera omogenea una rassegna di contributi problematici sulla evidence-based medicine, annotati da figure autorevoli che stanno contribuendo in maniera non trascurabile all'evoluzione della sanità italiana, cercherò di rilevarne singoli aspetti e di valutare quale influenza può avere il libro di Liberati sulla profonda trasformazione socio-culturale che sta interessando il nostro Sistema Santiario Nazionale.

Di livello elevato — forse troppo in senso epistemologico — il capitolo di Parma e Caimi sulla medicina generale, distante dalla realtà media dell'assistenza di base italiana.

Inoltre, mi sembra eccessiva l'enfasi posta sulle difficoltà di adattare i risultati degli studi clinici controllati (RCTs) al paziente individuale: la MePE non è solo applicazione di RCTs, ma innanzitutto utilizzo efficace e tempestivo dell'informazione biomedica, che nella pratica clinica a qualunque livello — medicina generale inclusa — è assolutamente inadeguata per mezzi e competenze2.

Roberto Grilli si sofferma sugli aspetti sociali che condizionano l'efficacia delle linee-guida, integrando un eccellente manuale tecnico3 che aveva trattato solo marginalmente questo aspetto.

Williams e Liberati sottolineano la scarsa trasferibilità delle valutazioni economiche alle singole realtà, legittimando il dubbio che l'economia sanitaria è ancora una scienza allo stato embrionale.

Tre note di merito

  1. Bozzini e Garattini spiegano in maniera chiara ed incontrovertibile la rivoluzione culturale introdotta dalla CUF, additando senza remore chi si è opposto all'unica espressione di MePE in Italia.
  2. Satolli e Domenighetti sottolineano, con straordinaria efficacia, che la "evidence-based patient information" è un presupposto indispensabile affinché le migliori prove di efficacia si riflettano integralmente nello stato di salute di una popolazione.
    Questa consapevolezza dovrebbe stimolare la programmazione di una corretta informazione degli utenti, che attualmente in Italia è sganciata da qualunque controllo scientifico.
  3. Il gruppo di Pagliaro — uno dei pochi che in Italia praticò ed insegnò la MePE prima della sua certificazione di nascita — valuta il ruolo della MePE nelle varie fasi del "clinical decision making" e sottolinea, in maniera originale, la sua scarsa importanza nel riconoscimento della presentazione clinica e nella generazione delle ipotesi diagnostiche.
    Il fatto che queste competenze siano scontate per gli inventori della MePE, legittima il dubbio che verosimilmente molti di loro non hanno mai visto un malato4!

Il libro di Liberati e collaboratori riflette l'interesse internazionale per la MePE e contribuisce ad alimentare la speranza che la sanità abbia finalmente trovato un metodo scientifico per riacquistare credibilità a vari livelli5: la pratica clinica, la politica sanitaria e la formazione del medico.

Tuttavia, mi sembra poco realistico credere che l'insegnamento della MePE pura — quella che secondo Sackett nasce con il paziente e finisce con il paziente —possa migliorare la pratica clinica, difficilmente modificabile6, in quanto regolata dalle esperienze formative universitarie e dei primi anni post-laurea7.

Questo scetticismo è legittimato da tre ostacoli difficilmente superabili:

  1. la mancata integrazione tra epidemiologia clinica e medicina,
  2. le barriere linguistiche,
  3. lo scarso interesse a familiarizzare con i moderni strumenti informatici.

La pratica clinica può essere resa più omogenea ed aderente ai progressi della ricerca solo con interventi di politica sanitaria "evidence-based", ad esempio attraverso linee-guida adattate alle realtà locali e rinforzate da adeguate strategie di implementazione (in particolare di tipo incentivo-disincentivo).

Tuttavia, come sottolinea Roberto Satolli, l'utilizzo delle pubblicazioni secondarie — linee-guida incluse — non può identificarsi con la pratica della MePE: esse sono strumenti che "distillano i risultati della ricerca" e sollevano il medico dall'onere di ricercare ed interpretare criticamente la letteratura originale (competenze che paradossalmente costituiscono proprio l'essenza della MePE).

Inoltre le linee-guida, oltre a divenire obsolete in un tempo più o meno breve, sono di qualità variabile, per cui il medico è ugualmente costretto a sviluppare le capacità di approccio critico se non vuole limitarsi all'applicazione di ricette preconfezionate3.

L'introduzione della MePE nella formazione universitaria e specialistica costituisce pertanto l'unica possibilità per creare nuove generazioni di medici per i quali la MePE non rappresenti un nuovo paradigma, ma si identifichi semplicemente con l'esercizio della buona medicina.

Tuttavia, gli sporadici contributi orientati in questa direzione nella recente Conferenza internazionale sulla formazione del medico8 ed il numero esiguo di esperienze didattiche che Liberati è riuscito a raccogliere costituiscono una prova concreta dello scarso interesse dell'Accademia a diffondere la MePE, un metodo che potrebbe "attentare" all'autoritarismo che contraddistingue buona parte del corpo docente.

Liberati afferma con legittimo scetticismo che: ".. forse è troppo presto per esprimere predizionisul futuro della MePE e sulla sua utilità per informare le politiche sanitarie", ma dimostra in maniera convincente che in Italia esistono tutte le competenze9 per avviare una lunga e travagliata rivoluzione culturale, necessaria alla formazione della futura classe dirigente ed alla implementazione della MePE nel nostro SSN.

Pertanto, anche se riporta validi contributi sull'applicazione della MePE al paziente individuale, il libro è principalmente destinato ai politici, ai manager ed agli amministratori sanitari che vogliono approfondire il problema e, speriamo, implementare la MePE nelle loro decisioni.

Il singolo medico, se completamente estraneo alle implicazioni che hanno sotteso lo sviluppo della MePE, potrebbe giudicare questo libro come teorico, idealista e distante da una realtà italiana attualmente troppo lontana da certi standard; se invece è consapevole delle dimensioni socio-culturali del fenomeno, potrebbe essere stimolato ad approfondire gli aspetti tecnici della MePE.

Infine per quella parte di Accademici che difende strenuamente la propria "opinion-based medicine", credo proprio che il libro passerà inosservato!

Bibliografia

  1. Tognoni G. La formazione: costatazione dubbi, ipotesi. Ricerca & Pratica 1995; 11: 93-95.
  2. Weel LL. New connection between medical knowledge and patient care.BMJ 1997; 315: 231-5.
  3. Grilli R, Penna A, Liberati A. Migliorare la pratica clinica: come promuovere ed implementare linee-guida. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 1995.
  4. Marwick C. Proponents gather to discuss practicing Evidence-Based Medicine. JAMA 1997; 278: 531-2.
  5. Wallace EZ, Leipzig RM. Doing the right thing right: is Evidence-Based Medicine the answer? Ann Int Med 1997; 127: 91-4.
  6. Davis DA, Thomson MA, Oxman AD, Haynes RB. Changing physicians performance: a systematic review of the effect of continuing medical education strategies. JAMA 1995; 274: 700-5.
  7. Sullivan FM, MacNaughton RJ. Evidence in consultation: interpreted and individualized.Lancet 1996; 3484: 941-3.
  8. Collegio dei Professori di Medicina Interna, Comitato dei Professori di Medicina Specialistica. Conferenza Internazionale: La Formazione del medico in Europa. Roma: 28-29 settembre 1997.
  9. Cartabellotta A, per il Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze GIMBE.Verso un'assistenza sanitaria basta sulle evidenze scientifiche: strumenti, competenze, ostacoli. Rec Prog Med 1997; 88: 435-8.
  10. Guyatt GH. Evidence-based medicine. ACP Journal Club 1991; March-April, A-16.

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